Nei primi mesi del 2006 mi trovavo all’Auditorium della I Clinica Medica alla Scuola di specializzazione in Medicina Interna, ad un incontro sugli sviluppi scientifici e le problematiche etiche della terapia con cellule staminali. Dopo aver ascoltato un’ora di dibattito abbastanza acceso sull’uso delle staminali embrionali mi alzai dalla sedia affermando semplicemente che la diatriba sarebbe stata comunque presto superata dalla possibilità di utilizzare cellule staminali adulte riprogrammate allo stadio staminale, al posto delle controverse cellule di origine embrionale.

Non ottenni un grande effetto sulla platea e forse il mio tono un po’ sufficiente provocò un certo grado di stizza nel professorone, il mio primario che aveva voluto quell’incontro. Eppure, in sede d’esame finale di specializzazione, lo stesso prof. mi usò una cortesia universitaria ponendomi come prima domanda proprio un quesito relativo all’uso delle staminali nella pratica clinica, argomento su cui effettivamente avevo una certa preparazione.

Terminai il mio post-graduate universitario e, quasi incredibilmente per la rapiditĂ  degli eventi, la grande rivoluzione biomolecolare mosse sul serio, nei mesi che seguirono, quei passi da me preconizzati senza scomodare un grande intuito.

Meraviglia staminale, lavori in corso

Andiamo con ordine. Sappiamo che le staminali embrionali sono cellule in cui le potenzialità sono a 360°, in grado quindi di dare origine a tutti i tipi di tessuti, differenziandosi nei tipi cellulari specifici che li costituiscono: neuroni, miocellule cardiache, fotorecettori della retina, cellule ghiandolari del pancreas, spermatozoi ed ovociti… solo per fare qualche esempio illustre.

Sappiamo anche che ogni cellula che costituisce un organismo vivente, come quello umano, anche dopo la sua completa differenziazione conserva comunque il patrimonio originale di DNA, pur utilizzando solo i geni specifici della funzione richiesta. Un neurone fa il neurone attivando solo quei geni che gli permettono di esserlo, sviluppando l’assone, i dendriti, la funzione neurotrasmettitoriale. In altre parole, dalla vasta enciclopedia genetica a sua disposizione estrae solo i capitoli della neurologia e legge di volta in volta i paragrafi che trattano quella funzione. Ma gli altri libri e capitoli sono sempre lì, nella biblioteca clonata di ogni nucleo cellulare. Concettualmente, riaprire quei libri è certamente possibile, come si sa già da decenni dopo gli esperimenti di inserimento del nucleo cellulare di una cellula somatica adulta in un ovocita.

Ottenere le preziose cellule

Le cellule embrionali nei primi stadi di sviluppo sono le cellule staminali per antonomasia. Danno origine a tutti i tessuti ed organi dell’individuo. La ricerca su esse ha costituito le fondamenta della medicina rigenerativa e quindi dei successi ottenuti nelle prime sperimentazioni di tipo clinico.

La seconda via per ottenere cellule che possiedano le straordinarie potenzialità delle embrionali è percorsa ottenendo l’isolamento delle cellule staminali da un individuo adulto, estraendo quegli elementi cellulari che, come è stato dimostrato, conservano la potenzialità di generare i diversi tipi di tessuto dopo un’opportuna programmazione.

La terza strada, più recente ma molto promettente, è quella che evita battaglie etiche di difficile soluzione (come avviene con le embrionali) ed elude la necessità di una ricerca certosina nel pattern cellulare di un organismo adulto (necessaria all’isolamento delle staminali adulte). Si prelevano semplici cellule somatiche differenziate di un individuo, come quelle dell’epidermide, e le si riprogramma per ottenere lo stadio di cellula staminale. Queste cellule prendono il nome di iPSC (cellule staminali pluripotenti indotte) o, più semplicemente in questa sede, cellule iPS. Il termine "indotte" sta a significare che le caratteristiche staminali sono ottenute tramite opportuna stimolazione.

Non esiste più, quindi, un assoluto bisogno di scomodare in senso esclusivo le cellule embrionali, che sollevano dibattiti etici tra chi sostiene che l’individuo esiste già a livello cellulare e chi ritiene invece che le prerogative che lo definiscono siano una proprietà emergente. Onestà intellettuale ricercando, bisogna peraltro ribadire il nudo fatto che senza la ricerca sulle cellule embrionali non saremmo mai giunti a quei risultati che ci consentiranno forse di non averne più bisogno in futuro.

I fantastici 4 al lavoro

I geni della riprogrammazione
A dire il vero, gli esperimenti scientifici degli ultimi anni dimostrano che il procedimento sembra concettualmente molto più semplice di quanto poteva essere previsto o temuto, pur divenendo estremamente complesso nella sua attuazione tecnica. La riprogrammazione in senso staminale ottenuta inserendo il nucleo cellulare di una cellula differenziata in un ovocita ha presentato molti problemi e si sono cercate quindi altre strade, ma nessuno pensava che bastasse l’attivazione di soli 4 geni ad avviare la riprogrammazione di una cellula in senso staminale: eppure, le cose sono andate proprio così.

Il primo passo è stato identificare i 4 geni "miracolosi" (oct4, sax2, klf4, c-myc), selezionati tra quelli attivi solo nelle cellule staminali e non in quelle adulte e differenziate. In seguito, la prima strada seguita è stata l’inserimento di quei geni nella cellula utilizzando vettori virali del tipo dei retrovirus, in grado di trasportare e integrare i geni nel DNA della cellula somatica.

Il sistema ha funzionato, anche se le osservazioni hanno ribadito il noto problema posto da un'integrazione stabile di DNA esogeno, che può attivare altri geni che dovrebbero restare silenti. In effetti, la mancanza di un vero controllo sull'espressione genica ha condotto in qualche caso, negli esperimenti su animali, alla formazione di tumori.



Fig. 1 - Induzione di cellule staminali tramite retrovirus integrati nel DNA cellulare.

Volendo superare tale impasse, si è pensato quindi di sostituire i retrovirus con altri tipi virali come l’adenovirus, che non si integra nel DNA umano e resta, per così dire, a spasso nel citoplasma cellulare pur consentendo la sintesi delle proteine necessarie alla conversione della cellula.



Fig.2 - Induzione di cellule staminali tramite adenovirus, che non si integrano nel DNA cellulare.

La nuova strada ad RNA

Al fine di superare problemi legati ai costi della procedura, la sua relativa inefficienza in termini di tempo e i rischi tumorali connessi all'alterazione genetica, sono state considerate due vie alternative per ottenere l’espressione di quei geni: l’impiego di farmaci in grado di stimolare i recettori chiave del processo e condurre alla sintesi delle proteine, oppure l'utilizzo di RNA sintetici.

In effetti, quando si attiva un segmento di DNA che costituisce un gene viene prodotta la sua copia come molecola complementare di RNA (acido ribonucleico) ed è poi questa, dopo vari rimaneggiamenti, a guidare la traduzione della sua informazione in una specifica proteina. L'RNA è quindi il messaggero che trasmette all'apparato biosintetico della cellula l'informazione necessaria, determinando la sintesi di proteine specifiche. Con un cocktail di RNA sintetico, costituito dai 4 geni già citati più uno (LIN28), i ricercatori hanno ottenuto la conversione di cellule connettivali, i fibroblasti, in cellule staminali. Il processo sembra molto più veloce ed efficiente rispetto all'uso di vettori virali, ottenendo la trasformazione del 2% delle cellule in iPS in metà tempo, e meno rischioso per ciò che riguarda la possibile attivazione di geni pericolosi.



Fig.3 - Inserimento di RNA sintetici che attraverso la sintesi di proteine specifiche determinano la riprogrammazione in senso staminale.

Naturalmente, la fattibilità clinica di una terapia con cellule staminali richiede un’ulteriore progressione delle conoscenze. Le cellule iPS devono comportarsi esattamente come le staminali embrionali, replicandosi e differenziandosi nel tipo cellulare voluto (dietro i segnali inviati in provetta o direttamente dai fattori di crescita e differenziazione prodotti localmente nel tessuto danneggiato), e fermarsi quando l’effetto di riparazione è stato ottenuto, senza eccedere al punto di trasformarsi in tumori. Bisognerà quindi identificare con precisione almeno le principali molecole che guidano il processo in modo da favorire un loro virtuoso avvicendamento nella rigenerazione tessutale.

I moduli funzionali che attivano il comportamento staminale potrebbero essere piĂą semplici di quanto ritenuto in passato
Nonostante le difficoltose premesse, peraltro, serpeggia un certo ottimismo tra gli addetti ai lavori dovuto ai risultati straordinari già ottenuti e a varie considerazioni prospettiche tra le quali, a modesto avviso di chi scrive, una delle principali è l’assunto che la Natura, nel processo evolutivo, tende a selezionare la semplicità e a riutilizzare quei moduli funzionali dimostratisi validi. Il comportamento biochimico può tendere quindi "al ribasso": nel nostro caso delle cellule staminali pluripotenti, ciò sembra tradursi in una gerarchia di segnali proteici che in qualche modo tende a semplificare l’avvio del processo.

In effetti, non c’è stato bisogno di conoscere tutto l’intreccio di segnali “a valle”: il processo di riprogrammazione è stato possibile attivando 5 segnali principali che orientano in modo potente il cammino successivo; la conoscenza più approfondita dei meccanismi in gioco resta comunque l’obiettivo della ricerca scientifica, che dovrà acquisire il pieno controllo dell'intrinseca potenza espressa dalle cellule staminali.

Il fatto che esistano meccanismi centrali è un aspetto che emerge spesso nella ricerca biomolecolare: pensiamo ai geni che guidano la segmentazione corporea, presenti dalle specie più semplici fino all'uomo. Sarebbe una fortuna, evidentemente, se il meccanismo di attivazione di una cellula staminale rispondesse, almeno nelle linee generali, a tali requisiti di semplicità. I lavori dei ricercatori sull'induzione di modificazioni della tipologia cellulare sembrano rispecchiare questo desiderio, come è stato dimostrato anche in una nuova ricerca in cui si è ottenuta la conversione diretta dei fibroblasti in neuroni, senza passare attraverso lo stadio embrionale-staminale, ancora tramite un cocktail di geni.

Prospettive

La possibilità di produrre cellule staminali da semplici cellule adulte come quelle dell’epidermide rappresenta un grande passo in avanti della medicina rigenerativa. Cellule provenienti dallo stesso individuo che necessita di una terapia, e quindi con lo stesso identico DNA, potranno essere riportate alla condizione di massimo potenziale e indotte a impegnarsi nello stesso meraviglioso processo svolto durante lo sviluppo dell’organismo.

A parte gli esempi più citati e in qualche modo in prima linea nella sperimentazione clinica, come la malattia di Alzheimer, il morbo di Parkinson, il diabete di tipo 1, le lesioni irreversibili del midollo spinale, se ci si sofferma a pensarci per pochi istanti si può assaporare la sconfinata potenzialità di questo tipo di terapia, limitata "solo" dalla conoscenza dettagliata delle specifiche vie di segnale di ogni tessuto che necessiti di una riparazione di tipo staminale. Lesioni cerebrali indotte da ictus, riparazione del muscolo cardiaco colpito da infarto, rigenerazione di cellule degenerate della retina, fino ad arrivare a situazioni meno importanti clinicamente ma molto appetibili per la medicina estetica come la riattivazione dei follicoli piliferi del cuoio capelluto, l’equilibrio della melanino-genesi, la produzione di una matrice extracellulare di tipo giovane in cellule dell’epidermide.

I tempi sono come sempre imprevedibili ma la medicina rigenerativa non sembra destinata a fare passi indietro, se le società avranno l’intelligenza e la lungimiranza di sostenere la ricerca scientifica in questi campi.

FT